Abbiamo conosciuto Chapa poco
più di un anno fa, nel corso di un viaggio in Colombia.
Lucy Agredo, sindaco di Sotarà,
lo stesso comune a cui appartengono gli abitati di La Paz e
Paispamba, ci aveva parlato di una vereda (una frazione) lontana dal
capoluogo, un luogo davvero incantato, tanto bello dal punto di
vista naturalistico quanto complesso da quello umano.
I professori della scuola ci
avevano presentato alcuni dei casi più complessi tra le storie degli
alunni: bambini che avevano subito maltrattamenti, orfani dei
genitori, in stato di denutrizione o con altri gravi problemi
familiari. Chapa, ci avevano spiegato, era stata in precedenza una
vereda molto piccola, sino a che, di recente, famiglie in cerca di
nuova terra vi si erano stabilite. L’arrivo di nuomerosi indigeni
Yanacona, ancora successivo, ne aveva mutato nuovamente la struttura
sociale, rendendo gli equilibri ancora più precari.
La carrozzabile che lascia
Paispamba verso La Paz è sterrata e accidentate, si addentra
all’interno di piccole valli laterali e sbuca nuovamente, scendendo
e risalendo nel Massiccio colombiano sui fianchi del vulcano.
Arrivati a Chapa apprendiamo, in
breve, che non ci sono praticamente macchine: alcune moto (la
maggioranza delle quali appartengono agli insegnanti) e il carro
cisterna che raccoglie il latte sono gli unici mezzi motorizzati da
queste parti. Quanto alle auto, l’arrivo di un fuoristrada da
lontano, come in questo caso, segnala un visitatore importante, non
per niente siamo qui con Lucy, il sindaco.
Gli studenti sono moltissimi,
l’accoglienza festosa ci imbarazza e ci gratifica. I ragazzi vengono
da lontano, qualcuno di loro cammina ore tutti i giorni per poter
andare a scuola, arriva alle lezioni già stanco, consuma un magro
pasto e torna a casa di nuovo affamato ed esausto all’imbrunire.
Chapa – il
progetto
Ci appare chiaro che le esigenze
principali di Chapa sono due: da un lato la parte alimentare, che
soffre della mancanza di cibo, dall’altro il trasporto: due modi per
permettere ai ragazzi di avere più tempo ed energie da dedicare allo
studio.
Il progetto prevede due fasi: la
prima un aiuto immediato per il periodo successivo, che viene
finanziato attraverso Chocolate Curt e la vendita di giocattoli
artigianali, la seconda una modalità che possa permettere alla
scuola di mantenere ilo servizio nei periodi successivi.
Riusciamo a fornire a decine di
alunni (la totalità dopo solo un anno) un pasto caldo, completo e
bilanciato a mezzogiorno (molto spesso l’unico pasto del giorno) e a
finanziare il trasporto dei più lontani: la vita comincia a
cambiare.
Successivamente, aiutiamo la
scuola ad ampliare la parte di allevamento di animali e di
coltivazioni, così da inserire da un lato la carne di tanto in tanto
tra gli alimenti consumati, dall’altro da permettere piccoli
ingressi in grado di aiutare a finanziare il trasporto con la
vendita degli animali stessi. Infine, l’allevamento permette di
creare delle colonie di conigli e porcellini d’india da esportare
nelle famiglie contadine dei ragazzi, migliorandone le condizioni di
vita. Inizialmente prevediamo anche l’acquisto di un terreno, che in
seguito si rende non più necessario: siccome il bene attira sempre
altro bene, la comunità indigena locale acquista il terreno vicino e
lo dona alla scuola in segno di ringraziamento. Oggi il progetto, in
fase di attuazione, cresce forte: nel futuro stiamo studiando
l’introduzione di altre verdure e altri cereali (la dieta
tradizionale è ricca di legumi, riso, patate e frutta ma povera di
verdure) nella dieta dei ragazzi e valutiamo l’ulteriore
rafforzamento della parte di allevamento. D’altro canto anche da
lato didattico c’è stata un’importante ricaduta: portando a casa gli
animali durante i fine settimana o i periodi di vacanze, i ragazzi
hanno assunto maggiori conoscenze e acquisito senso di
responsabilità.